martedì 29 gennaio 2013

Venivamo tutte per mare - Julie Otzuka

Incipit:
"Sulla nave eravamo quasi tutte vergini. Avevamo i capelli lunghi e neri e i piedi piatti e larghi, e non eravamo molto alte. Alcune di noi erano cresciute solo a pappa di riso e avevano le gambe un po’ storte, e alcune di noi avevano appena quattordici anni ed erano ancora bambine. Alcune di noi venivano dalla città e portavano abiti cittadini all’ultima moda, ma molte di più venivano dalla campagna, e sulla nave portavano gli stessi vecchi kimono che avevano portato per anni – indumenti sbiaditi smessi dalle nostre sorelle, rammendati e tinti più volte. Alcune di noi venivano dalle montagne e non avevano mai visto il mare, tranne che in fotografia, e alcune di noi erano figlie di pescatori che conoscevano il mare da sempre."

  

  La scelta stilistica di usare la prima persona plurale è davvero particolare e riesce a rendere l'aspetto corale del romanzo senza mai diventare indistinta e spersonalizzata: in qualche modo, ognuna delle donne trova spazio per raccontare la sua scheggia di esperienza americana. Alla lunga, però, lo schema diventa un po' ripetitivo, anche se funziona.
Le cose cambiano negli ultimi due capitoli, dove, prima, vengono fatti anche i nomi di alcune donne e uomini: la voce narrante collettiva si distacca e racconta di molte "lei", di adulti e bambini, uomini e donne, tutti giapponesi americani; poi, improvvisamente, nell'ultimo capitolo la voce corale che ci ha accompagnato attraverso l'oceano fin dall'inizio si trasforma: "noi" sono gli americani rimasti, che si domandano che fine abbiano fatto i giapponesi. E' difficile tornare a immedesimarsi nell'occidentale, proprio alla fine, quando invece vorresti solo sapere che cosa è successo ai giapponesi.

Mi aspettavo una storia sulle donne... e invece mi sono ritrovata soprattutto una storia sul razzismo: cinesi, giapponesi, coreani, negri, italiani in america... sono tutti stereotipati nelle loro caratteristiche, non solo nella mente dell'americano che se li è trovati sulla porta di casa, perché i pregiudizi razziali (r)esistono anche all'interno delle varie etnie (i cinesi sono maleducati e lavorano male... i negri vivono in cinque famiglie nella stessa casa... e così via).

Comunque il romanzo mi è piaciuto. Ci sono stati momenti in cui avrei voluto leggere di più di una data situazione, ma il romanzo scivolava via verso altre storie e altre persone. Talvolta si ritrovano situazioni di cui si ha letto magari nel capitolo precedente e il pezzi si avvicinano lentamente, per completare un puzzle fatto solo di accenni, ma non di storie complete.

Valutazione: 3/5

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